Giugno 2017

La colpa del medico specializzando secondo la Cassazione

La questione della colpa professionale assume dei contorni peculiari nei confronti del medico assistente in formazione, c.d. specializzando il quale, secondo la Cassazione “non è mero esecutore” di quanto impartito dal medico docente-tutore ma piuttosto un soggetto dotato di autonomia, seppur vincolata, nello svolgimento delle attività medico-chirurgiche di cui è stato incaricato.
Il riconoscimento di tale autonomia nello svolgimento dell’attività del medico che sta compiendo la specializzazione ha dei risvolti importanti sotto il profilo della colpa.

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Marzo 2017

Incidenti stradali: se l’assicurazione non paga

Spesso accade che passino numerosi giorni (anche mesi) senza che il danneggiato riceva risarcimento alcuno da parte della compagnia assicurativa e alle sofferenze causate da incidenti allora si aggiungono le fatiche per avere riconosciuti i propri diritti di assicurato-danneggiato.

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Dicembre 2016

Responsabilità ex art. 96, 3° comma, c.p.c. e per manifesta insostenibilità delle difese

Cass., 29 settembre 2016, n. 19298 – Presidente Chiarini – Relatore Rossetti
Spese giudiziali civili – Manifesta insostenibilità della tesi – responsabilità aggravata
La manifesta insostenibilità della tesi prospettata in giudizio è sanzionabile ai sensi dell’art. 96, 3° comma, c.p.c. perché implica abuso del processo e perché è in contrasto coi principi della ragionevole durata del processo e dell’economia processuale. Cost., art. 111; cod. proc. civ., art. 96

Si riporta di seguito un breve estratto dell’interessante sentenza di Cassazione che sanziona l’abuso di mezzi processuali posto in essere da quegli operatori di giustizia che strumentalizzano il contenzioso giudiziario svuotandolo della sua primaria funzione.

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Maggio 2016

Quali conseguenze ha il mobbing? Come difendersi?

L’attività di mobbing può determinare nella vittima perdita d’autostima, ansia, esaurimento nervoso, depressione, insonnia, nevrosi, isolamento sociale, attacchi di panico e può anche essere causa di cefalea, annebbiamenti della vista, tremore, tachicardia, sudorazione fredda, gastrite, dermatite, ed anche di suicidio, nei casi più gravi.

In diversi casi vengono favoriti i conflitti e le inimicizie tra la persona presa di mira e i colleghi, mentre le vengono vietati  contatti con le persone con le quali ha un buon rapporto. Ciò allo scopo di isolare la vittima sul posto di lavoro e/o di allontanarla definitivamente o comunque di impedirle di esercitare un ruolo attivo sul lavoro.

Le azioni di dequalificazione o marginalizzazione professionale danno luogo talvolta ad un “terrore psicologico” sul luogo di lavoro, che consiste in una comunicazione ostile e contraria ai principi etici, perpetrata in modo sistematico da una o più persone, principalmente contro un singolo individuo, che viene per questo spinto in una posizione di impotenza e impossibilità di difesa e qui costretto a restare con continue attività ostili.

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Maggio 2016

Danno non patrimoniale: scostamento da tabelle milanesi va motivato

In materia di danno non patrimoniale e di tabelle milanesi la sentenza n. 2167/2016 torna a parlare di quantificazione del danno.

Come noto, ormai da anni per la quantificazione del danno non patrimoniale l’attore ed il giudice si basano quelle che sono le determinazioni dettate nelle tabelle milanesi.

Ai sensi della sentenza n. 12408/2011 le tabelle milanesi rappresentano infatti l’unica via per pervenire ad una compensazione economica che sia adeguata e ristoratrice del pregiudizio subito. In particolare la pronuncia della Suprema Corte stabilisce che il ristoro deve tener conto non solo della quantificazione strictu sensu del danno ma anche tenere conto delle circostanze del caso concreto affinché appunto il ristoro sia congruo e si basi sui principi di adeguatezza e proporzionalità (Cassazione n. 9231/2013)

Un ruolo determinante nella valutazione è altresì rivestito dal giudice dalla propria valutazione equitativa e dal suo libero apprezzamento.

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Maggio 2016

Mobbing pianificato: in quali casi è riscontrabile

Per mobbing si intende l’insieme delle condotte persecutorie poste in essere nell’ambiente di lavoro e messe in atto con continuità.

Recenti pronunzie della Corte di Cassazione hanno identificato una forma articolata di tali condotte persecutorie, che prende il nome di “mobbing pianificato”.

Esso si ha nel momento in cui l’attività persecutoria non è fine a sé stessa ma è pianificata e funzionale alla espulsione del lavoratore, causandogli una serie di ripercussioni psicofisiche che spesso sfociano in specifiche malattie (disturbo da disadattamento lavorativo, disturbo post-traumatico da stress) con andamento cronico.

Questa pratica è spesso condotta con il fine di indurre la vittima ad abbandonare da sé il lavoro, senza quindi ricorrere al licenziamento (che potrebbe causare imbarazzo o problemi di vario tipo al datore di lavoro) o per stroncare ritorsioni a seguito di comportamenti non condivisi (ad esempio, denuncia ai superiori o all’esterno di irregolarità sul posto di lavoro), o per il rifiuto della vittima di sottostare a proposte o richieste immorali (sessuali, di eseguire operazioni contrarie a divieti deontologici o etici, etc.) o illegali.

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Maggio 2016

Il comportamento ostile del datore di lavoro: è mobbing

Come statuito dalla Cassazione per “mobbing” s’intende comunemente una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell’ambiente di lavoro, che si risolve in sistematici e reiterati comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e l’emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio fisiopsichico e del complesso della sua personalità.

Purtroppo spesso nei luoghi di lavoro si riscontra una forte tendenza a sminuire i fatti ed a minimizzare la gravità di comportamenti che consentono di ridurre atteggiamenti di inaccettabile prepotenza alla stregua di folcloristici episodi di normale conflittualità relazionale, quando non addirittura di malintesa confidenzialità.

Caratterizzano questo comportamento la sua protrazione nel tempo attraverso una pluralità di atti (giuridici o meramente materiali, anche intrinsecamente legittimi: Corte cost. 19 dicembre 2003 n. 359; Cass. Sez. Un. 4 maggio 2004 n. 8438; Cass. 29 settembre 2005 n. 19053; dalla protrazione, il suo carattere di illecito permanente: Cass. Sez. Un. 12 giugno 2006 n. 13537), la volontà che lo sorregge (diretta alla persecuzione od all’emarginazione del dipendente), e la conseguente lesione, attuata sul piano professionale o morale o psicologico o fisico.

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