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Danno non patrimoniale: scostamento da tabelle milanesi va motivato

In materia di danno non patrimoniale e di tabelle milanesi la sentenza n. 2167/2016 torna a parlare di quantificazione del danno.

Come noto, ormai da anni per la quantificazione del danno non patrimoniale l’attore ed il giudice si basano quelle che sono le determinazioni dettate nelle tabelle milanesi.

Ai sensi della sentenza n. 12408/2011 le tabelle milanesi rappresentano infatti l’unica via per pervenire ad una compensazione economica che sia adeguata e ristoratrice del pregiudizio subito. In particolare la pronuncia della Suprema Corte stabilisce che il ristoro deve tener conto non solo della quantificazione strictu sensu del danno ma anche tenere conto delle circostanze del caso concreto affinché appunto il ristoro sia congruo e si basi sui principi di adeguatezza e proporzionalità (Cassazione n. 9231/2013)

Un ruolo determinante nella valutazione è altresì rivestito dal giudice dalla propria valutazione equitativa e dal suo libero apprezzamento.

La celebre sentenza n. 12408/2011 statuisce che proprio alle tabelle milanesi si dovrebbero ispirare i giudici perché queste si caratterizzavano per elementi idonei a farli diventare un parametro univoco di validità ed equità.

Le sentenze n. 10263/2015 e n. 24473/2014 sottolineano inoltre come la pronuncia che si discosti dalle tabelle milanesi deve essere (ad opera del giudice che la emetta) più che adeguatamente motivata perché la proporzione in difetto rispetto ai parametri esibiti dalla tabella non può che creare nocumento al danneggiato, a ciò si aggiunga che che una motivazione incompleta non consente inoltre di ricostruire il percorso che ha condotto il giudice ad esprimersi in una certa maniera.

In ultimo non risulta essere trascurabile il lasso temporale che intercorre tra il momento della domanda e la conclusione del processo,  poichè se esso è ampio la tabella applicata dovrà essere quella più recente, aggiornata al momento della sentenza.

Alla luce di quanto sancito dagli ermellini le tabelle milanesi non possono che reputarsi indispensabili nella liquidazione del risarcimento del danno non patrimoniale.

Il danno patrimoniale ex articolo 2043 è atipico, perché per il suo risarcimento è necessario e sufficiente che si sia cagionato un danno ingiusto, cioè una lesione ad un diritto o a un interesse protetto
Il danno non patrimoniale ex articolo 2059 è tipico, perché può essere risarcito solo nei casi previsti dalla legge
Ciò vuol dire che per ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale sarà anche necessario che la legge preveda, per la lesione di un determinato interesse, anche la risarcibilità di tali danni, e ciò ad esempio accade espressamente nell’ipotesi prevista dall’articolo 185 del codice penale, secondo il quale ogni reato obbliga non solo alle restituzioni a norma delle leggi civili, ma anche al risarcimento del danno, sia esso di natura patrimoniale sia esso di natura non patrimoniale.

Se quindi, per avventura, l’articolo 185 del codice penale non avesse fatto riferimento ai danni di natura non patrimoniale, questi non sarebbero stati risarcibili in seguito alla commissione di un reato, mentre i danni patrimoniali sarebbero sempre risarcibili anche se l’articolo 185 non ne avesse fatto alcuna menzione, poiché si avrebbe quel “danno ingiusto” previsto dall’articolo 2043 che in questo caso consiste nella lesione del bene giuridico protetto dalla norma penale.
Ma in che cosa consiste il danno non patrimoniale?
Sul punto si sono avute diverse opinioni, sostanzialmente basate su una classificazione di singole ipotesi di danno non patrimoniale, e quindi si sono individuate le categorie del danno biologico, del danno morale, del danno esistenziale.
Partendo dal danno biologico possiamo ormai essere certi della sua definizione, perché il legislatore l’ha espressa nel cosiddetto codice delle assicurazioni secondo il quale il danno biologico è la lesione temporanea o permanente all’integrità psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito.

 

Il danno non patrimoniale costituisce una categoria unitaria e non la somma di singole voci di danno che il danneggiato può invocare individualmente con l’intento di aumentarne la quantificazione (Cass. n. 687/2014). E quindi:

-il danno biologico, inteso come lesione alla salute,
-il danno morale, cioè la sofferenza interiore,
-il danno dinamico-relazionale, definibile come esistenziale,
costituiscono secondo la giurisprudenza della Corte, componenti della voce “danno non patrimoniale” e danno luogo ad una valutazione globale e non per singole voci.
Il danneggiato che intenda ottenere la liquidazione del danno anche per le sofferenze morali o per le implicazioni sugli aspetti dinamico-relazionali della vita non deve richiedere una liquidazione separata delle singole voci ma provare tali danni in modo da consentire al giudice di liquidare complessivamente il danno non patrimoniale personalizzandolo al caso concreto.

 

In realtà la legge stabilisce in linea generale il risarcimento del solo danno patrimoniale nelle due forme comunemente note (danno emergente e lucro cessante).
Viceversa la risarcibilità del danno non patrimoniale (cioè non immediatamente definibile nella sua valutazione economica) è subordinata a specifiche norme che prevedano la tutela ed il risarcimento del danno subìto.

Il tema del risarcimento del c.d. danno esistenziale è stato infatti rivisitato da quattro analoghe sentenze delle Sezioni Unite della Corte di cassazione dell’11 novembre 2008 nn. 26972, 26973, 26974 e 26975, le quali hanno definitivamente ricondotto tale tipo di danno all’interno dell’unitaria figura del danno non patrimoniale conseguente alla commissione di un illecito, disciplinato dall’art. 2059 cod. civ.
Quest’ultima norma stabilisce una limitazione alla risarcibilità di tale tipo di danno, affermando che “Il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge” (c.d. tipicità del danno non patrimoniale risarcibile, in contrapposizione alla atipicità di quello patrimoniale, risarcibile ex art. 2043 cod. civ. in ogni caso di lesione di un qualsiasi bene ritenuto dall’Ordinamento meritevole di tutela).

Il primo è che liquidazioni del danno non patrimoniale “a spanne” saranno pur perfettamente eque nel caso concreto, ma impediscono agli interpreti di ricostruire l’iter logico seguito dal giudice, e finiscono per tale via per fomentare le liti. L’imperscrutabilità del percorso seguito dal giudicante per arrivare ad una certa liquidazione finale indurrà fatalmente il debitore a domandarne in appello la revisione al ribasso, e l’opposto farà il creditore.

Prima ancora, l’imperscrutabilità della decisione impedisce alle parti di formulare qualsiasi sensata previsione sul possibile esito del giudizio, e di conseguenza alimenta il moral hazard, indicendole ad agire o resistere anche quando, se avessero potuto conoscere il plausibile esito della lite, se ne sarebbero verosimilmente astenute.

Liquidazioni per nulla o scarsamente motivate, insomma, sono uno degli elementi che, insieme a tanti altri, producono il perverso effetto del “diritto incalcolabile”, di cui così bene scrisse un insigne giurista [Irti, Un diritto incalcolabile, in Riv. dir. civ., 2015, 11; sullo stesso tema si veda anche Carleo (a cura di), Calcolabilità giuridica, Bologna 2017, passim, ma in special modo i contributi di Irti, De Nova e Nuzzo].

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