Maggio 2016

Mobbing pianificato: in quali casi è riscontrabile

Per mobbing si intende l’insieme delle condotte persecutorie poste in essere nell’ambiente di lavoro e messe in atto con continuità.

Recenti pronunzie della Corte di Cassazione hanno identificato una forma articolata di tali condotte persecutorie, che prende il nome di “mobbing pianificato”.

Esso si ha nel momento in cui l’attività persecutoria non è fine a sé stessa ma è pianificata e funzionale alla espulsione del lavoratore, causandogli una serie di ripercussioni psicofisiche che spesso sfociano in specifiche malattie (disturbo da disadattamento lavorativo, disturbo post-traumatico da stress) con andamento cronico.

Questa pratica è spesso condotta con il fine di indurre la vittima ad abbandonare da sé il lavoro, senza quindi ricorrere al licenziamento (che potrebbe causare imbarazzo o problemi di vario tipo al datore di lavoro) o per stroncare ritorsioni a seguito di comportamenti non condivisi (ad esempio, denuncia ai superiori o all’esterno di irregolarità sul posto di lavoro), o per il rifiuto della vittima di sottostare a proposte o richieste immorali (sessuali, di eseguire operazioni contrarie a divieti deontologici o etici, etc.) o illegali.

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Maggio 2016

Il comportamento ostile del datore di lavoro: è mobbing

Come statuito dalla Cassazione per “mobbing” s’intende comunemente una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell’ambiente di lavoro, che si risolve in sistematici e reiterati comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e l’emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio fisiopsichico e del complesso della sua personalità.

Purtroppo spesso nei luoghi di lavoro si riscontra una forte tendenza a sminuire i fatti ed a minimizzare la gravità di comportamenti che consentono di ridurre atteggiamenti di inaccettabile prepotenza alla stregua di folcloristici episodi di normale conflittualità relazionale, quando non addirittura di malintesa confidenzialità.

Caratterizzano questo comportamento la sua protrazione nel tempo attraverso una pluralità di atti (giuridici o meramente materiali, anche intrinsecamente legittimi: Corte cost. 19 dicembre 2003 n. 359; Cass. Sez. Un. 4 maggio 2004 n. 8438; Cass. 29 settembre 2005 n. 19053; dalla protrazione, il suo carattere di illecito permanente: Cass. Sez. Un. 12 giugno 2006 n. 13537), la volontà che lo sorregge (diretta alla persecuzione od all’emarginazione del dipendente), e la conseguente lesione, attuata sul piano professionale o morale o psicologico o fisico.

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Maggio 2016

La notte bianca della legalità

A pochi giorni dalle affermazioni del PM di Caltanissetta sulla strage di Capaci, che fanno inevitabilmente molto discutere, una interessante iniziativa promuove la scoperta del valore della legalità nel paese degli ossimori.

Le porte del tribunale di Roma durante la notte del 7 maggio apriranno i battenti per alunni,  avvocati, magistrati e personaggi dello spettacolo nella seconda edizione della “Notte bianca della legalità”.

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Febbraio 2016

Rapporto di lavoro a tempo determinato e risoluzione “ante tempus”

In caso di mancato preavviso delle dimissioni si rischia di incorrere in decurtazioni dello stipendio da parte del datore di lavoro. Come licenziarsi allora da un contratto a tempo determinato? Quanto preavviso occorre dare al datore?

Il contratto di lavoro è un patto sottoscritto da entrambe le parti e perciò può essere sciolto da entrambi i contraenti in qualsiasi momento. Tuttavia l’articolo 2118 del Codice Civile specifica altresì che “ciascuno dei contraenti di lavoro subordinato e a tempo indeterminato possa recedere dal contratto stesso dandone preavviso nel termine e modi”. Ed inoltre l’articolo 2119 del codice civile stabilisce che: “Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo determinato, o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto.”

Se si è nel cosiddetto “periodo di prova” entrambe le parti, possono, senza preavviso alcuno recedere dal contratto. Decorso tale periodo sarà necessario dare congruo preavviso.

Nel caso di dimissioni presentate dal lavoratore, le stesse possono essere rassegnate solo in presenza di una giusta causa che non consenta la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto di lavoro.

Se è invece il datore di lavoro a procedere al licenziamento – nel contratto a tempo determinato – , conclusosi il periodo di prova, al lavoratore spetteranno le retribuzioni previste fino alla scadenza del contratto, oltre al riconoscimento del risarcimento degli eventuali danni subiti per la condotta del datore.

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Gennaio 2016

Il monitoraggio del dipendente nei luoghi di lavoro: dal controllo dei computer aziendali alla videosorveglianza

Una importante pronunzia in riferimento alla videosorveglianza che inquadra i lavoratori. Quali  possibilità hanno i datori di lavoro di controllare e monitorare i dipendenti?

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo si è pronunziata sancendo (nel singolo caso di un lavoratore licenziato) che gli interessi del datore di lavoro, prevalgono sul diritto alla privacy del lavoratore che presso il primo presta la propria opera.
Il giro di vite sui lavoratori fannulloni è diventato realtà nonostante sia una forma di restrizione veramente pregante: la recente sentenza ha dato a ciò una legittimazione sovranazionale.
Il peso di una sentenza del genere risulta in tutto il proprio spessore, dato che ad aver legittimato le intrusioni del datore nei computer (a danno di diritti dei lavoratori ed allo scopo di controllarli) è stata la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che tali diritti invece, avrebbe dovuto tutelare.
Alla base del licenziamento sono state poste le informazioni tratte dalle conversazioni private effettuate dal lavoratore dall’account aziendale, nell’orario di lavoro e giustificate dal fatto che il datore potesse accedere al computer ed agli altri strumenti che egli stesso aveva fornito al proprio dipendente (computer e connessione erano infatti forniti dall’azienda): certo (a suo dire) che vi avrebbe trovato solo contenuti inerenti l’attività lavorativa.
Nel caso di specie, il licenziamento del lavoratore nel 2007, era stato motivato dal fatto che lo stesso utilizzava un servizio di messaggistica per chattare con la fidanzata e con il fratello, durante l’orario lavorativo.
Risultano però di tutta evidenza la lesione della privacy e la violazione della riservatezza della corrispondenza nonché l’assenza di un bilanciamento tra le esigenze di produzione del datore ed i diritti costituzionalmente garantiti.
Sembra un passo indietro rispetto alle conquiste sindacali dell’ultimo secolo, eppure tutto ciò è realtà.
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Maggio 2015

Infortuni sul lavoro: responsabilità del datore e onere probatorio del danneggiato

In tema di responsabilità del datore di lavoro, la Cassazione si è pronunziata con una rilevante sentenza, nell’ambito della quale ha affermato che per violazione delle disposizioni dell’art. 2087 cod. civ., la parte che subisce l’inadempimento non deve dimostrare la colpa dell’altra parte.
Dato che, ai sensi dell’art. 1218 cod. civ., è il debitore-datore di lavoro che deve provare che l’impossibilità della prestazione o la non esatta esecuzione della stessa o comunque il pregiudizio che colpisce la controparte derivano da causa a lui non imputabile. La parte è comunque soggetta all’onere di allegare e dimostrare l’esistenza del fatto materiale ed anche le regole di condotta che assume essere state violate, provando che l’asserito debitore ha posto in essere un comportamento contrario o alle clausole contrattuali che disciplinano il rapporto o a norme inderogabili di legge o alle regole generali di correttezza e buona fede o alle misure che, nell’esercizio dell’impresa, debbono essere adottate per tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro (Cassazione civile Sentenza, Sez. Lav., 21/05/2015, n. 10465). continua a leggere