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Ottobre 2017

Ottenuto il primo permesso di lavoro retribuito per curare il cane

Per la prima volta in Italia si crea un precedente, rappresentato da un permesso di lavoro retribuito, dato ad una dipendente, per far curare il proprio animale domestico.

Nella specie è stato dichiarato che: “curare il proprio cane può essere fatto rientrare tra i gravi motivi personali e di famiglia”  e ciò ha consentito alla lavoratrice di astenersi dal lavoro percependo la relativa retribuzione.

Questo precedente si muove nella nuova direzione della tutela dei sentimenti dell’uomo verso gli animali quali esseri viventi e non più intesi come beni.

Nel caso di specie si trattava di una dipendente pubblica single che, non avendo alternative per somministrare le cure al fedele amico a quattro zampe, ha richiesto 2 giorni di astensione retribuita.

Il permesso in un primo momento era stato negato alla donna la quale ha aperto una vertenza che è stata vinta grazie al supporto della LAV (Lega antivivisezione Italiana) che si è espressa con una esplicita nota.

Il permesso di lavoro retribuito è stato concesso sulla base della motivazione che “l’animale si trova in gravi condizioni”  ed il riconoscimento all’astensione risiede nel fatto che “non curare un animale sofferente può integrare il reato di maltrattamento e abbandono previsto dal Codice Penale”. Tali reati (artt. art. 544-ter e 727 c.p) sono oggi disciplinati  nell’ambito del nuovo Titolo IX Bis del codice penale, rubricato “Dei delitti contro il sentimento per gli animali” introdotto dalla legge n. 189/2004, modificata dalla successiva l. n. 201/2010, che ne ha inasprito le pene. Essi sono fuoriusciti dall’ambito della mera contravvenzione per assurgere a veri e propri reati, nell’ottica di un riconoscimento sempre più accentuato, in armonia con la ratio della legislazione del 2004 e di quella successiva, di una soggettività dell’animale e della necessità della sua tutela.

Il terzo comma dell’art. 544-ter introduce una speciale circostanza aggravante, la quale prevede, nel caso di morte dell’animale, in seguito alle condotte di maltrattamento disciplinate dal primo comma, che la pena nello stesso prevista sia aumentata della metà.

Se prima l’animale era visto come un bene, mediante il quale si poteva arrecare un pregiudizio alla proprietà privata e che poteva finanche essere oggetto di pignoramento, adesso la legislazione si sta muovendo in una nuova direzione.

Si crea dunque un precedente che apre la strada ad una possibile riforma normativa per consentire di fruire di permessi lavorativi retribuiti a chi è solo e deve necessariamente somministrare cure al proprio fedele amico.

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