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Maggio 2019

Il pubblico impiego: quali norme lo disciplinano e cosa sapere

Il rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni — in genere denominato pubblico impiego — è quello per cui una persona fisica pone, volontariamente e dietro corrispettivo, la propria attività lavorativa, in modo continuativo, alle dipendenze di una amministrazione pubblica, assumendo, perciò, uno specifico status con particolari diritti e doveri.
Per effetto della instaurazione di tale rapporto, il dipendente risulta stabilmente inserito nell’organizzazione della P.A. datrice di lavoro, rispetto alla quale, pertanto, è gerarchicamente subordinato; inoltre, la sua prestazione concorre alla realizzazione dei fini istituzionali dell’ente.
Il rapporto di lavoro pubblico è:
— volontario, perché sia per la costituzione che per la continuazione del rapporto è richiesta la volontà della P.A. e quella del dipendente;
— strettamente personale, in quanto la specifica capacità intellettiva e tecnica richiesta e la fiducia che l’ente deve avere nella persona cui affida la cura dei propri interessi comportano che il rapporto sia costituito intuitu personae;
— bilaterale (sinallagmatico), poiché vi sono diritti e doveri specifici in capo sia al lavoratore che al datore di lavoro (prestazione lavorativa/corresponsione della retribuzione);
— di subordinazione, essendo la prestazione lavorativa svolta alle dipendenze di una pubblica amministrazione da parte di un soggetto istituzionalmente subordinato alla stessa.
In particolare, la disciplina del pubblico impiego è regolata dal decreto legislativo n. 165 del 2001. Tale decreto reca le norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche.

Rapporto organico e rapporto di servizio
Nell’ambito del pubblico impiego occorre poi distinguere il rapporto organico dal rapporto di servizio.

Il rapporto organico c.d. anche d’ufficio è un rapporto di immedesimazione tra preposto ed organo: il primo è tutt’uno con il secondo, non costituendo un soggetto a sé stante. Il rapporto organico, non è un rapporto giuridico ma un rapporto organizzativo che sorge con un atto di assegnazione.
La configurazione del rapporto organico è rilevante ai fini della diretta imputazione dell’attività svolta dal titolare dell’organo (c.d. funzionario) all’ente di cui costituisce elemento strutturale.
Sulla base di tale rapporto il soggetto acquista la capacità di esercitare i poteri e le funzioni che le norme attribuiscono alle P.A. ad esse imputando i relativi effetti.
L’atto posto in essere dal titolare dell’organo viene infatti direttamente attribuito all’ente, con conseguente assunzione, in capo a questo, degli eventuali vizi dell’atto e della responsabilità per danni verso terzi.
Il funzionario agisce come ente, tutta l’attività è dell’ente, il rapporto organico non è un rapporto intersoggettivo in quanto non opera tra soggetti diversi, è piuttosto un rapporto interno.

Il rapporto di servizio è invece il rapporto giuridico intercorrente tra l’ente e la persona fisica che viene inserita con determinate funzioni nell’organizzazione dell’ente, mediante un atto c.d. di assunzione. Esso riguarda la prestazione lavorativa del dipendente; con il rapporto di servizio il soggetto infatti si impegna a prestare la propria attività a favore della P.A. e corrispettivamente acquisisce il diritto alla remunerazione del servizio reso.
Si tratta di un rapporto giuridico intersoggettivo che si distingue in rapporto di servizio di diritto e in rapporto di servizio di fatto, a seconda della sussistenza o meno di un atto di assunzione da parte dell’autorità amministrativa.
Il rapporto di servizio di diritto può puoi essere di due tipi:
impiegatizio: quando si instaura un rapporto di impiego tra ente e soggetto, generalmente di durata indeterminata;
onorario: quando il rapporto deriva da un incarico elettivo o onorifico che non viene esercitato a titolo di professione. In tal caso il soggetto non percepisce una retribuzione da parte della P.A. ma un indennizzo ed il rapporto ha durata per lo più temporanea.

In conclusione non tutte le persone fisiche, che agiscono per la P.A., possono qualificarsi funzionari, tali potendosi considerare solo coloro che esercitano potestà inerenti al pubblico ufficio.
Da ciò ne deriva che la distinzione tra impiegato e funzionario non dipende dalla natura del rapporto di servizio, che lega la persona fisica all’ente, riguardando invece al diverso aspetto se il soggetto agente chiamato a manifestare la volontà della P.A. eserciti o meno pubbliche potestà.

I caratteri del rapporto impiegatizio sono:
la volontarietà: sia per la costituzione, che per la prosecuzione del rapporto è richiesta la volontà non solo del lavoratore ma anche quella della P.A.;
la personalità: la prestazione resa dal lavoratore deve essere personale;
la subordinazione gerarchica: il lavoratore è inserito nell’organizzazione dell’ente fornendo la prestazione sulla base delle istruzioni e sotto la vigilanza ed il controllo della P.A.

Come detto, con il termine pubblico impiego si fa riferimento al rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni.

Va a questo punto chiarito che per pubbliche amministrazioni si intendono, sostanzialmente:

-le amministrazioni statali,

-le regioni, le province e i comuni,
-le comunità montane e i loro consorzi e associazioni,
-le istituzioni universitarie,
-gli istituti autonomi case popolari,
-le camere di commercio, industria, artigianato, agricoltura e le loro associazioni,
-gli enti pubblici non economici nazionali,
-le aziende e gli enti del servizio sanitario nazionale,
-gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali,
-l’agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni,
-le agenzie pubbliche.

Per lungo tempo, il pubblico impiego era disciplinato esclusivamente attraverso norme di diritto pubblico. A seguito della cd. privatizzazione, tuttavia, questo tipo di rapporto di lavoro è oggi regolato, in prevalenza, dalle norme del codice civile e da tutte le norme sul lavoro subordinato, con qualche eccezione, come ad esempio quelle in tema di mobilità e mutamento di mansioni previste dal decreto legislativo numero 165/2001.

Ma la principale differenza tra i due tipi di rapporto è rappresentata dalle modalità di accesso al lavoro: per espressa previsione costituzionale, infatti, ancora oggi al pubblico impiego si accede esclusivamente mediante concorso (art. 97 Cost.).

La privatizzazione
Il rapporto di lavoro alle dipendenze della P.A. è oggi «privatizzato». In particolare, il D.Lgs. 3-2-
1993, n. 29 (ora trasfuso nel D.Lgs. 165/2001) ha riformato il pubblico impiego, trasferendo la
relativa disciplina dall’area pubblicistica (dove era prima collocato) a quella privatistica, grazie alla affermazione per cui i rapporti di lavoro dei dipendenti pubblici sono disciplinati dalle disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile e dalle legge sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa, fatte salve le diverse disposizioni contenute nel decreto medesimo.
L’assetto dei rapporti di pubblico impiego è, pertanto, incentrato sul valore dell’autonomia contrattuale (individuale e collettiva).
Si tratta, tuttavia, di un modello misto: alle norme di diritto comune si affiancano, infatti, speciali disposizioni di legge, regolamento o statuto che introducono discipline limitate ai soli dipendenti delle amministrazioni pubbliche.
Vi sono, infatti, alcuni aspetti peculiari che connotano il rapporto di lavoro svolto alle dipendenze di
una P.A.:
— la predeterminazione del personale: le PP.AA. non possono disporre liberamente del proprio personale, che viene predeterminato dalla legge e/o atti amministrativi a contenuto generale;
— il principio del concorso pubblico come modalità di accesso al lavoro con le PP.AA.;
— il criterio della stabilità del rapporto nell’ambito dell’organico: i pubblici impiegati sono «incasellati» in precise posizioni e qualifiche, cui corrispondono le relative mansioni. Essi potranno accedere ad altra posizione ma solo previo svolgimento di un’apposita procedura concorsuale (progressione).
Si è detto che nel corso degli anni il pubblico impiego ha subito delle sostanziali modifiche che ne hanno determinato la cd. privatizzazione.

La prima tappa rilevante in tal senso è rappresentata dal d.lgs. n. 29/1993, che ha ricondotto il lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione nell’ambito del modello applicato al lavoro privato, stabilendo che i rapporti lavorativi fossero disciplinati dal codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa.

Il secondo passaggio fondamentale si è avuto, poi, con la legge delega numero 59/1997, attuata con il d.lgs. n. 20/1998 e il d.lgs. n. 387/1998 e alla quale ha fatto seguito, pochi anni dopo, il d.lgs. n. 165/2001 che, tuttora, detta le norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche.

Anche successivamente al 2001, numerosi altri interventi legislativi hanno modificato il lavoro pubblico, cristallizandone la privatizzazione. Tra di essi merita in particolare di essere menzionata la legge delega n. 15/2009, che ha trovato attuazione con il cd. decreto Brunetta (d.lgs. n. 150/2009).

La fisionomia del lavoro pubblico è stata ridisegnata, successivamente, dalla cd. riforma Brunetta: la L. 4 marzo 2009, n. 15 e il relativo decreto attuativo, D.Lgs. 27-10-2009, n. 150, hanno dato vita ad una riforma destinata a rivoluzionare il funzionamento dell’amministrazione
italiana, soprattutto nell’ottica dell’aumento di produttività del lavoro pubblico e di una migliore organizzazione dello stesso sulla base dei principi di efficienza e trasparenza.
Gli aspetti fondamentali di tale riforma sono:
— il principio di trasparenza e la valutazione della performance lavorativa. La trasparenza è proprio una parole-chiave della riforma: infatti, essa è intesa quale accessibilità totale delle informazioni sull’organizzazione e l’attività delle pubbliche amministrazioni. L’altro profilo portante della riforma riguarda l’attribuzione selettiva degli incentivi economici e di carriera, al fine di premiare i dipendenti capaci e meritevoli;
— la valorizzazione del merito e gli strumenti di premialità. Sono stati introdotti strumenti di valutazione del merito e metodi di incentivazione della produttività e della qualità della prestazione lavorativa, sulla base dei principi di selettività e di concorsualità nelle progressioni di carriera nonché
nel riconoscimento degli incentivi;
— le innovazioni in materia di dirigenza e di contrattazione collettiva; in particolare, il dirigente viene designato quale datore di lavoro nelle PP.AA. e vengono ridefinite le materie attribuite alla
contrattazione collettiva;
— le sanzioni disciplinari e le responsabilità dei pubblici dipendenti. Viene completamente rinnovata la disciplina delle sanzioni disciplinari e del sistema di responsabilità dei dipendenti pubblici, soprattutto in vista della lotta all’assenteismo e alla scarsa produttività.

La lotta ai «furbetti» del cartellino e del weekend
Con i decreti attuativi della riforma Madia il legislatore, intervenendo massicciamente sull’art.
55quater e sull’art. 55quinquies del D.Lgs. 165/2001, ha impostato una disciplina più rigorosa
in tema di responsabilità disciplinare e relative tempistiche procedimentali, nell’ottica del contrasto/prevenzione delle condotte assenteistiche.
Viene infatti predisposto un iter disciplinare più celere in caso di falsa attestazione della presenza in servizio (art. 55quater, commi 3bis-3quinquies, introdotti dal D.Lgs. 116/2016): questa, se accertata in
flagranza ovvero mediante strumenti di sorveglianza o di registrazione, determina l’immediata sospensione cautelare senza stipendio del dipendente, senza obbligo di ascoltarlo preventivamente. La sospensione del «furbetto» è disposta dal responsabile della struttura in cui il dipendente lavora o, ove ne
venga a conoscenza per primo, dall’ufficio per i procedimenti disciplinari (UPD), con provvedimento motivato, in via immediata e comunque entro 48 ore dal momento in cui i suddetti soggetti ne sono venuti a conoscenza. Con il medesimo provvedimento di sospensione cautelare si procede anche alla contestuale contestazione per iscritto dell’addebito e alla convocazione del dipendente dinanzi all’UPD, tenuto a concludere il procedimento entro 30 giorni dalla ricezione, da parte del dipendente, della contestazione dell’addebito.

 

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