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Dicembre 2017

Recesso dall’apertura di credito in c/c

Il recesso da un rapporto di credito a tempo determinato, nei casi di giusta causa tipizzata dal contratto, implica che l’accertamento da parte del giudice, chiamato ad appurare la legittimità dello scioglimento, non sia limitato e circoscritto ad un esame sulla sussistenza o meno di fondate ragioni. Sarà necessario, infatti, che non siano riscontrabili modalità impreviste ed arbitrarie, contrastanti con la ragionevole aspettativa del contraente che, tenendo conto degli usuali comportamenti della banca, abbia correttamente valutato di poter disporre della provvista redditizia per un tempo concordato.

In queste ipotesi, infatti, il cliente legittimamente potrebbe non essere pronto, in qualunque momento, alla restituzione del capitale utilizzato.

Questo il principio stabilito dalla Cassazione (Corte di Cassazione, sezione I civile, sentenza 24 agosto 2016, n. 17291).

La normativa di riferimento in materia, ex art. 1845 c.c., disciplina le specifiche modalità di previsione della clausola di recesso, riservando ai contraenti la possibilità di prevedere patti contrari: tale prerogativa, pertanto, accoglie indirettamente ipotesi di scioglimento contrattuale senza giusta causa (sempre, sia chiaro, se espressamente previsto dalle parti stesse).

Nello specifico, gli Ermellini hanno fatto leva sui connotati di arbitrarietà e di imprevedibilità del recesso operato dall’accreditante. Secondo l’orientamento tracciato dalla Suprema Corte, il recesso è dunque arbitrario ed illegittimo, qualora contrasti con la logica aspettativa “…di chi, sulla base di rapporti usualmente tenuti dalla banca e sull’assoluta normalità commerciale dei rapporti in atto, abbia fatto affidamento sulla provvista concessa; e non si può altresì pretendere che l’accreditato possa essere pronto in qualsiasi momento alla restituzione delle somme già usufruite, se non a patto di eliminare i motivi che hanno condotto il medesimo a chiedere l’apertura di credito in conto corrente” (Cass. sent. n. 4538 del 21/05/1997). Il giudizio critico della S.C. va riferito soprattutto nei confronti di quelle banche che hanno operato il recesso in modo arbitrario e senza giustificazioni per fini ricattatori e vendicativi (si pensi, ad es., al caso del recesso effettuato nei confronti del cliente che abbia contattato altri istituti di credito concorrenti, oppure che abbia convenuto in giudizio la banca accreditante, etc.).

Potrebbero, non essere disciplinate esplicitamente ipotesi di esclusione della necessità di una giusta causa sottesa al recesso, ovvero, per meglio dire, casi di scioglimento contrattuale che non implicano necessariamente delle motivazioni determinate e peculiari, atte a generare l’interruzione del rapporto lasciando, di conseguenza, non poca autonomia alle parti interessate. In tali ipotesi è però previsto che la banca indichi espressamente le motivazioni della risoluzione in una comunicazione inviata alla controparte, nel rispetto alle regole di trasparenza e dei doveri di efficienza.

In tema di recesso dal contratto di apertura di credito in conto corrente, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che “nel contratto di apertura di credito bancario a tempo indeterminato, il termine previsto per il preavviso di recesso dall’art. 1845 c.c. può essere convenzionalmente stabilito dalle parti e – anteriormente alla introduzione della disciplina sui contratti del consumatore, avvenuta ad opera dell’art. 25 l. 6 febbraio 1996 n. 52 – può essere fissato in un solo giorno, salvo il rispetto della buona fede “in executivis” (Cass. 21/02/2003, n. 2642; conf. Cass. n. 4538/1997; Cass. n. 11566/1993; Cass. n. 9307/1994; per la giurisprudenza di merito, Trib. Cassino 24.05.2014; Trib. Benevento 25.5.2017).

In altri termini, stabilita la legittimità della clausola con cui le parti convengano la possibilità per la banca di recedere dal contratto di apertura di credito con preavviso di un solo giorno – a maggior ragione per le ipotesi in cui l’apertura di credito sia a tempo indeterminato, in quanto, ai sensi dell’art. 1845, comma 3, c.c., “se l’apertura di credito è a tempo indeterminato, ciascuna delle parti può recedere dal contratto, mediante preavviso nel termine stabilito dal contratto, dagli usi, o, in mancanza, in quello di quindici giorni” -, la giurisprudenza ha precisato che comunque l’istituto di credito deve esercitare tale diritto in conformità ai principi di correttezza e di buona fede (espressione del principio di solidarietà sociale di cui all’art. 2 Cost.). Qualora, invece, il recesso sia esercitato in violazione dei citati principi di correttezza e buona fede, si

configura un’ipotesi di “abuso del diritto”, inteso quale limite funzionale all’esercizio dello stesso, da cui scaturisce l’obbligo di risarcire il danno causato dal c.d. “recesso abusivo”.

Ai fini della valutazione dell’esercizio del recesso da parte della Banca, si deve verificare se lo stesso rappresenti la naturale conseguenza di una complessiva valutazione del merito creditizio, che gli intermediari sono tenuti a effettuare, nel qual caso è esercitato in modo legittimo; diversamente, quando il recesso è invece frutto di scelte ex abrupto da parte dell’istituto di credito, lo stesso è esercitato in modo irragionevole (quale rimedio “abnorme”, ad es., rispetto ad una posizione debitoria di non rilevante entità, se parametrata ai fidi concessi).

Il recesso comporta ad ogni modo la sospensione immediata dell’utilizzo del credito, ma la banca ha l’obbligo di concedere all’ accreditato il termine di quindici giorni per la restituzione delle somme impiegate e degli accessori. Il recesso è un atto recettizio: pertanto, ai fini della sua perfezione, è necessario che vi sia la prova della ricezione della comunicazione da parte del destinatario (Cass. Civ., sent. nr. 5066 del 22/11/2000; Di Napoli R.).

Spetterà alla parte che intenda far rilevare il comportamento illegittimo della banca, relativamente al recesso dal rapporto, l’onere di provare che le motivazioni sottese al ritiro dal rapporto non siano legittime e al contempo sarà tenuta a dimostrare come la garanzia patrimoniale fornita sia in grado di tutelare il rapporto contrattuale in essere.

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