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Aprile 2019

La retribuzione del medico specializzando (Sent. n.1062/2019)

Cassazione civile sez. III, 17/01/2019, (ud. 20/07/2018, dep. 17/01/2019), n.1062

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14832-2015 proposto da:

S.G.P., + ALTRI OMESSI, elettivamente domiciliati

in ROMA, VIA L. MANTEGAZZA 24 presso lo studio dellavvocato MARCO

GARDIN, rappresentati e difesi dall’avvocato BARSI RODOLFO giusta

procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente del

Consiglio pro tempore, REPUBBLICA ITALIANA in persona del Presidente

del Consiglio pro tempore, MINISTERO ISTRUZIONE UNIVERSITA’ RICERCA

(OMISSIS), domiciliati ex lege in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, da cui sono difesi per

legge;

– controricorrenti –

nonchè da:

B.P.F., L.E., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA L. MANTEGAZZA 24 presso lo studio dell’avvocato MARCO

GARDIN, rappresentati e difesi dall’avvocato BARSI RODOLFO giusta

procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrenti-

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente del

Consiglio pro tempore, MINISTERO ISTRUZIONE UNIVERSITA’ RICERCA

(OMISSIS) in persona del Ministro pro tempore, domiciliati ex lege

in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, da cui sono difesi per legge;

– controricorrenti –

e contro

REPUBBLICA ITALIANA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 884/2014 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 02/12/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

20/07/2018 dal Consigliere Dott. PAOLO PORRECA.

 

Fatto

CONSIDERATO

che:

S.G.P., + ALTRI OMESSI, convenivano in giudizio la Repubblica Italiana e la Presidenza del Consiglio dei Ministri in persona del Presidente del consiglio, nonchè il Ministero dell’istruzione, dell’Università e della hicerca, esponendo di essersi laureati in medicina e chirurgia per poi conseguire varie specializzazioni riconosciute dalla normativa dell’Unione Europea, tra il 1983 e il 1994. Chiedevano la condanna della controparte al pagamento di una somma equivalente alla giusta retribuzione non percepita per il periodo di frequenza della scuola di specializzazione, quale infine prevista dal D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257, in tardiva e incompleta attuazione delle direttive CEE n. 75/362, 75/363, 82/76, 93/16, ovvero, in subordine, della stessa somma a titolo risarcitorio;

il tribunale rigettava la domanda per intervenuta prescrizione ritenuta quinquennale e decorrente dal conseguimento del diploma, con pronuncia riformata dalla corte di appello che, per quanto qui ancora rileva, concludeva per la prescrizione decennale, con la medesima decorrenza, accordando di conseguenza le somme solo in favore di alcuni attori, a titolo risarcitorio e di debito di valore;

quest’ultima sentenza, n. 678 del 2010 della corte di appello di Lecce, era cassata da questa Corte, con arresto n. 8579 del 2013, che ancorava la decorrenza della prescrizione al 27 ottobre 1999, data di entrata in vigore della L. 19 ottobre 1999, n. 370, art. 11 che aveva solo parzialmente colmato la lacuna determinando la borsa di studio spettante ai soli beneficiari, anteriori al recepimento dell’”acquis communautaire”, che fossero stati riconosciuti tali delle sentenze irrevocabili del giudice amministrativo;

la corte di appello, in sede di rinvio, accoglieva infine, e quindi la domanda degli odierni ricorrenti con interessi legali, trattandosi di debito di valuta a seguito della sua determinazione “ex lege” da considerare intervenuta con il menzionato D.Lgs. del 1999, pertanto senza rivalutazione monetaria, ed escludendo anche il maggior danno in mancanza di prova;

avverso quest’ultima decisione ricorrono per cassazione i menzionati attori originari, formulando tre motivi;

con successivo ricorso B.P.F. ed L.E. impugnavano la medesima sentenza della corte leccese che, per quanto concerneva la loro posizione, aveva rigettato la domanda in quanto, come da indicazioni della previa pronuncia cassatoria, i relativi corsi di specializzazione erano iniziati prima del 31 dicembre 1982, termine ultimo di recepimento della normativa comunitaria;

resistono ad entrambi i ricorsi, con distinti controricorsi, le amministrazioni originarie convenute;

la difesa erariale ha depositato memoria.

Diritto

RILEVATO

che:

con il primo motivo del primo ricorso si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 324,112 e 99 c.p.c., poichè la corte territoriale avrebbe omesso di considerare che la pronuncia cassatoria aveva affrontato, per quanto di interesse, il profilo della prescrizione, e non quello della quantificazione che, quindi, restava cristallizzato dal giudicato sulla natura di debito di valore, oggetto inoltre di censura, da parte della Presidenza del consiglio dei ministri, dichiarata inammissibile dalla sentenza di questa Corte n. 8579 del 2013, con conseguente violazione del principio dispositivo atteso che i deducenti, all’esito della cassazione con rinvio, avevano chiesto l’applicazione del giudicato interno e non la componente risarcitoria di rivalutazione monetaria come tale;

con il secondo motivo del primo ricorso si prospetta la violazione degli artt. 1224 c.c. e ss., sia perchè la somma prevista dal D.Lgs. n. 370 del 1999 non avrebbe potuto considerarsi onnicomprensiva, con esclusione della rivalutazione monetaria, in quanto mero parametro di liquidazione del debito di valore, sia perchè, comunque, il maggior danno avrebbe dovuto ritenersi “in re ipsa”, ovvero provato dal fatto notorio, in relazione agli effetti del passaggio dalla lira all’Euro;

con il terzo motivo del primo ricorso si prospetta la violazione degli artt. 1123 e 1224 c.c., in quanto per il periodo precedente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 370 del 1999 che aveva quantificato la spettanza, il debito avrebbe dovuto considerarsi di valore, con conseguente necessità di accordarne la rivalutazione in uno agli interessi legali sulla somma rivalutata anno per anno;

con l’unico motivo del secondo ricorso si prospetta la violazione delle direttive comunitarie n. 75/363 e n. 82/76 poichè la corte di appello avrebbe errato nell’escludere la spettanza del diritto ai deducenti solo perchè avevano iniziato i relativi corsi di specializzazione antecedentemente al termine finale di recepimento della normativa sovranazionale in parola, da ritenere prevalente con effetti di retroattività non limitabili attraverso il suddetto discrimine temporale;

Rilevato che:

il primo motivo del primo ricorso è manifestamente infondato, atteso che la pronuncia di questa Corte n. 8579 del 2013 ha espressamente stabilito (a pag. 13, punto 2.5.) che il giudice del rinvio avrebbe dovuto attenersi, per i ricorrenti, al principio di diritto già espresso con l’arresto di Cass. n. 1917 del 2012 secondo cui, con il d.lgs. n. 370 del 1999, lo Stato italiano ha quantificato le somme dovute al titolo in questione, sicchè l’obbligazione e quindi il debito hanno assunto “ex lege” la struttura di valuta, soggetta alla maggiorazione di interessi legali dalla messa in mora e, quando provato, del maggior danno ex art. 1224 c.c., senza alcuna necessaria componente di rivalutazione monetaria quale quella propria dei debiti di valore;

nello stesso arresto del 2013 (a paga 17, punto 3.6.) si rileva l’inammissibilità della censura della difesa erariale sugli accessori, in quanto formulata in memoria illustrativa, ma con riferimento alla pronuncia di merito, in quella sede impugnata, che aveva accordato, infatti, le somme in favore di alcuni attori, quelli, cioè, diversi dagli odierni ricorrenti, per cui la pretesa non era stata considerata prescritta;

ne deriva che non vi è alcun giudicato sulla natura di debito di valore e sulla spettanza della rivalutazione monetaria, e anzi vi è l’opposto vincolo proprio del giudizio di rinvio cui la corte territoriale si è attenuta;

il secondo motivo del primo ricorso è in parte inammissibile e in parte infondato, atteso che, fermo il vincolo del giudicato interno ex art. 384 c.p.c., comma 2, appena ricostruito in senso contrario a quello ipotizzato dai deducenti per ciò che concerne l’automatica rivalutazione monetaria, non risulta riportato, in ricorso, quando e in quali termini sia stata fatta, per tempo nella fase di merito, l’allegazione sottesa alla domanda di maggior danno, per cui avrebbe dovuto accordarsene la spettanza in relazione alla non meglio specificata misura degli effetti del passaggio dalla lira all’Euro, fatto notorio cui la corte territoriale avrebbe in tesi omesso di far conseguente riferimento anche, essendo tale, in carenza di prova;

il terzo motivo del primo ricorso è infondato poichè la ricordata pronuncia di questa Corte n. 8579 del 2013 ha espressamente stabilito che, con il D.Lgs. n. 370 del 1999, all’obbligazione di valore “si è sostituita un’obbligazione avente natura di debito di valuta” (cfr. sin da Cass., 09/02/2012, n. 1917), connesso con la ricostruita responsabilità dello Stato “ab origine” di natura contrattuale, sicchè non vi è (più) alcuno spazio per il regime delle obbligazioni di natura aquiliana cui hanno fatto riferimento i deducenti, bensì solo, e sin dal momento genetico del rapporto obbligatorio, per l’eventuale maggior danno, ex art. 1224 c.c., oggetto del motivo precedentemente scrutinato (cfr. anche, ad esempio, Cass., 06/11/2014, n. 23635, punto 8);

l’unico motivo del secondo ricorso è infondato, atteso quanto segue;

come noto, la (allora) Comunità Europea nel 1975 volle dettare norme uniformi per “agevolare l’esercizio effettivo del diritto di stabilimento e di libera prestazione dei servizi di medico”, e lo fece con due direttive coeve: la direttiva 75/362/CEE e la direttiva 75/363/CEE, ambedue del 16.6.1975;

la prima sancì l’obbligo per gli Stati membri di riconoscere l’efficacia giuridica dei diplomi rilasciati dagli altri Stati membri per l’esercizio della professione di medico; la seconda dettò i requisiti minimi necessari affinchè il suddetto riconoscimento potesse avvenire, tra i quali la durata minima del corso di laurea e la frequentazione a tempo pieno di una “formazione specializzata”;

l’una e l’altra di tali direttive vennero modificate qualche anno dopo dalla Direttiva 82/76/CEE del Consiglio, del 26 gennaio 1982;

l’art. 13 di tale ultima direttiva aggiunse alla Direttiva 75/363/CEE un “Allegato”, contenente le “caratteristiche della formazione a tempo pieno (…) dei medici specialisti”;

l’art. 1, comma 3, ultimo periodo, di tale allegato sancì il principio per cui la formazione professionale “forma oggetto di una adeguata rimunerazione”;

la direttiva 82/76/CEE venne approvata dal Consiglio il 26.1.1982; venne notificata agli Stati membri (e quindi entrò in vigore) il 29.1.1982, e venne pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee n. L43 del 15.2.1982; l’art. 16 della medesima direttiva imponeva agli Stati membri di conformarvisi “entro e non oltre il 31 dicembre 1982”;

pertanto:

(a) l’ordinamento comunitario attribuì ai medici specializzandi il diritto alla retribuzione a far data dal 29.1.1982;

(b) gli stati membri avevano tempo sino al 31.12.1982 dello stesso anno per dare attuazione al precetto comunitario;

ne consegue che “qualsiasi formazione a tempo pieno come medico specialista iniziata nel corso dell’anno 1982 deve essere oggetto di una remunerazione adeguata”, così come stabilito dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea, con sentenza 24 gennaio 2018, in causa C-616/16, Presidenza del Consiglio c. Pantuso;

la medesima sentenza ha precisato che, per coloro che hanno iniziato i corsi di specializzazione durante l’anno 1982, la remunerazione adeguata deve essere corrisposta per il periodo di formazione a partire dal 1 gennaio 1983 fino alla conclusione, dal momento che prima di tale data gli Stati membri avevano la facoltà di dare o non dare attuazione alla direttiva;

la Corte di giustizia – nella sentenza appena ricordata, che ha valenza di “ius superveniens” rilevabile come tale pure in sede di rinvio (Cass., 12/09/2014, n. 19301, Cass., 09/10/1998, n. 10035) – ha dunque distinto tre categorie di specializzandi:

1) quelli che hanno iniziato la specializzazione prima del 29 gennaio 1982 (data di entrata in vigore della direttiva 82 del 1976), i quali non hanno diritto ad alcuna remunerazione;

2) quelli che hanno iniziato la specializzazione nel corso dell’anno 1982, i quali hanno diritto alla remunerazione a partire dal 1 gennaio 1983;

3) quelli che hanno iniziato la specializzazione dopo il 1 gennaio 1983, i quali hanno diritto alla remunerazione per l’intera durata del ricorso (Cass., sez. 3, ordinanza n. 13761 del 31/05/2018; ordinanza n. 13762 del 31/05/2018; sez. 3, ordinanza n. 13763 del 31/05/2018);

ciò è coerente, invero, con la correlazione tra compenso e organizzazione nonchè frequenza dei corsi secondo i canoni stabiliti, presente nella e dalla direttiva del 1982, entrata in vigore nel gennaio dello stesso anno (cfr. punto 30 della citata sentenza della Corte di giustizia);

ciò è coerente, cioè, con il generalissimo principio di ultrattività della previsioni normative che costituiscano nuovi diritti rapportati a un nuovo regime che li giustifichi (ed è opportuno precisare che, sebbene i casi sottesi al rinvio pregiudiziale di questa Corte siano stati indicati dalla stessa Corte di giustizia come di medici specializzati tra il 1982 e 1990, il quesito del rinvio medesimo è stato ampio e volto a quindi chiarire compiutamente ogni perimetro – cfr. punti 17 e 24 della sentenza della Corte di giustizia – sicchè il reiterato riferimento ai corsi iniziati nel 1982, fatto dal Collegio sovranazionale, anche nel corpo della motivazione del provvedimento in parola, è univocamente concludente in tal senso);

ne deriva, nella fattispecie qui in scrutinio, che la relativa domanda andava respinta – così precisandosi la motivazione della sentenza di merito gravata – atteso che risulta pacifico che i due medici ricorrenti iniziarono il corso in questione nel 1981;

le spese vanno compensate quanto al secondo ricorso, attese le progressive precisazioni della giurisprudenza anche sovranazionale, e per il resto seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti proponenti il primo ricorso di cui in motivazione, ossia S.G.P., + ALTRI OMESSI, alla rifusione delle spese processuali delle amministrazioni intimate liquidate in Euro 3.200,00, oltre al 15 per cento di spese forfettarie, oltre spese prenotate a debito. Spese compensate nel resto.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti dei due ricorsi, rispettivamente in solido, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 20 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2019

 

 

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