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Settembre 2018

La bigenitorialità frustrata nell’affido condiviso

Nell’affidamento condiviso il principio della bigenitorialità va senza dubbio rispettato nell’interesse del minore, cercando di creare un autentico equilibrio tra entrambe le figure genitoriali ed il ruolo che queste hanno nell’educazione della prole. Rileva il tempo che i genitori trascorrono con il figlio che formalmente dal giudice è stato ad entrambi affidato.


La stella Polare del processo della famiglia, affermata con la riforma del 2006, legge n.54 (affido condiviso) e successivamente confermata con il riordino degli aspetti di sistema posti dal Decreto Legislativo n. 154 del 28 dicembre 2013 (revisione delle disposizioni in materia di filiazione) è il superiore interesse del minore. La bigenitorialità, di cui si discute, è dunque un concetto complesso che comprende sia i tempi di frequentazione del figlio sia la forma del mantenimento che deve essere equamente suddiviso tra gli ex coniugi. Essi devono sopportare il peso economico del mantenimento  e trascorrere del tempo con il figlio, in egual misura.

In Italia, la legge 54/2006, riconosce il principio della bigenitorialità attraverso l’affido condiviso, per i figli di coppie separate anche non sposate. L’art. 337 ter del Codice Civile dice testualmente:

“Il figlio minore ha il diritto di mantenere il rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare i rapporti significativi con gli ascendenti e con i propri parenti di ciascun ramo genitoriale.”

La bigenitorialità è dunque il diritto-dovere di entrambi i genitori di mantenere un rapporto continuativo con i figli e di intervenire nella loro educazione, anche in caso di separazione. Quello esposto è un principio consolidato da tempo in altri ordinamenti europei, presente anche nella “Convenzione sui diritti del fanciullo” sottoscritta a New York il 20.11.1989 e resa esecutiva in Italia con L. 176 del 1991.

 

Se si parla di affidamento condiviso ciascun genitore dovrebbe stare un minimo di 12 giorni al mese con la prole altrimenti si avrebbe un affido solo sulla carta condiviso che andrebbe a frustrare il principio della bigenitorialità.

Va però precisato che trascorrere del tempo con il figlio, non solo è un diritto di ciascun genitore ma la bigenitorialità è al contempo un diritto del minore stesso, un principio etico ed una sua legittima aspirazione. Egli deve avere la possibilità di essere istruito, accudito ed educato da entrambi nella maniera per lui meno penalizzante possibile. Evitando, ove possibile, che da una separazione nascano delle fragilità che questi si porterà dietro, nel percorso di crescita.

 

Affido condiviso non vuol dire dunque avere potestà decisionale condivisa, ma spazi educativi concreti che si attuano di fatto con la convivenza con il figlio, articolata in partecipazione attiva nella vita di questi.

Spesso accade che un genitore non sia sufficientemente disponibile e questo vada ad inficiare il suo rapporto col minore che potrebbe sentirsi trascurato a motivo della fragilità emotiva che contraddistingue certe fasi dello sviluppo della personalità.

 

Secondo la giurisprudenza più recente, inoltre, l’assenza di collaborazione tra i genitori in conflitto e il dimostrato comportamento ostile di un genitore nei confronti dell’altro, diretto a impedire al minore di frequentarlo, comporta grave violazione del diritto del figlio al rispetto della vita familiare tutelata dall’art. 8 e non dispensa le autorità nazionali dall’obbligo di garantire il diritto del minore a frequentare entrambi i genitori.

La Suprema Corte di Cassazione con la decisione n. 6919 del 2016 formula un preciso principio di diritto: “In tema di affidamento di figli minori, qualora un genitore denunci comportamenti dell’altro genitore, affidatario o collacatario, di allontanamento morale e materiale del figlio da sé, indicati come significativi di una PAS (sindrome di alienazione parentale), ai fini della modifica di affidamento, il giudice di merito è tenuto ad accertare la veridicità in fatto dei suddetti comportamenti, utilizzando i comuni mezzi di prova, tipici e specifici della materia, incluse le presunzioni, ed a motivare adeguatamente, a prescindere dal giudizio astratto sulla validità o invalidità scientifica della suddetta patologia, tenuto conto che tra i requisiti di idoneità genitoriale rileva anche la capacità di preservare la continuità delle relazioni parentali con l’altro genitore, a tutela del diritto del figlio alla bigenitorialità e alla crescita equilibrata e serena”.

La Corte di Cassazione nel formulare il summenzionato principio richiama una recente sentenza della CEDU del 9.1.2013, n. 25704, L. c/Italia, in cui le autorità giudiziarie a fronte degli ostacoli opposti dalla madre affidataria e dalla stessa figlia minore a che il padre esercitasse effettivamente e con continuità il suo diritto di visita, non si erano attivate a mettere in atto tutte le misure necessarie a preservare il legame familiare tra padre e figlia nell’ambito di un procedimento di separazione personale, e per questo lo Stato italiano è stato condannato.

 

Vanno adottate, dunque, misure finalizzate al rispetto della vita familiare, incluse le relazioni reciproche fra individui e la predisposizione di strumenti giuridici adeguati e sufficienti ad assicurare i legittimi diritti degli interessati. Ma come dare attuazione, nella realtà fattuale, a quella che è un’esigenza del minore ed al contempo un suo diritto a crescere a trascorrere del tempo con entrambi i genitori?

Una recente proposta di legge, attualmente al vaglio del Senato, trae ispirazione dalle linee guida dettate dal tribunale di Brindisi sulla materia dell’assegnazione del minore e dell’affido condiviso e, potrebbe a breve, fornire le risposte a tale annoso quesito.

 

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